I ragazzi sono come l’acqua (il primo giorno di scuola)

Settembre è il mese delle ripartenza … un pò per tutti ma sopratutto per i ragazzi.

Quando ti capita di passare davanti ad una scuola mentre i ragazzi ne entrano o ne escono, difficilmente se ti soffermi non resti a pensare e a guardare quanto questi ragazzi sono come l’acqua: tracciano impetuosi la loro via, che è sempre quella “che taglia”, la più breve e più veloce da percorrere per qualcuno, e quella più sicura, lenta per altri.

I ragazzi, il centro propulsore di un’enorme forza motrice, capace di aggredire qualsiasi pendenza e superare qualsiasi ostacolo (sono quasi due anni che ce lo dimostrano), pieni di questa forza, distratti, chiassosi, disordinati: bombe cariche di ormoni ed emozioni.

Io credo che nonostante di anni ne siamo passati un pò, non abbiano niente di meno di ciò che avevo io.

Il loro mondo è semplicemente diverso. Come è giusto e naturale che sia.

Purtroppo non credo sia possibile spogliarsi di quel pregiudizio generazionale che ci fa sostenere che l’adolescenza della generazione precedente sia sempre migliore di quella successiva.

Ho l’impressione che sia un circolo vizioso che si ripete dalla notte dei tempi. Ma tant’è: per fortuna i ragazzi, incuranti delle nostre lamentele, continuano a tracciarsi i loro solchi. Con il cuore fuori soglia.

E la scuola, come il dopo scuola dovrebbero avere questo compito: preservare questo anelito, prendersene cura, coltivarlo e stimolarlo, senza imprigionarlo subito in segni rossi, stereotipi, convenzioni, modelli e diagnosi.

Che la scuola pone le basi per adeguare e compensare le sensibilità di ogni bambino e ragazzo.

La scuola quel posto che ti fa capire che sia che si parta dalla filosofia o dalla fisica quantistica la conclusione che l’altro è imprescindibile nella nostra vita e che siamo solo particelle di un tutto insondabile.

Allora l’empatia diventa non solo un dovere etico, ma l’unica modalità per sopravvivere, l’unica materia che non dovremmo mai dimenticarci di insegnare nelle scuole.

Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire ad indossare i loro vestiti, perchè sono stati o saranno i nostri in un altro tempo della vita.

E allora buona scuola, ancora e sempre, a ciascuno di noi.