Ed è questo che fanno i musei a cielo aperto … ci restituiscono dignità e ci portano ovunque. Rispondono alla “depressione collettiva” con la bellezza.
Camminano e ci fanno camminare. Respirano e ci fanno respirare.
Case, cascine, industrie … l’urbano abbandonato che riprende vita e colore.
Il Bragnum Museum: 22 opere di importanti artisti, tra tutte spicca “Il Quarto Stato”di Giuseppe Pellizza da Volpedo, sorta di manifesto emblematico del territorio di quella Bragno che si sviluppò proprio attorno alle fabbriche che vi si insediarono tra fine ‘800 e inizi ‘900, trasformando la piana agricola in una delle più vaste aree industriali della Liguria, con i suoi vagonetti che durante la guerra erano il “luogo del coraggio”: i ragazzi più poveri (e più coraggiosi) ci saltavano sopra, si facevano trasportare per alcuni chilometri e scaricavano carbone per le famiglie.
Dozzine di ex-voto, nelle parrocchie, raccontano incidenti sventati solo dall’intervento divino. Oggi questo incredibile impianto è il simbolo involontario del destino di un intero territorio, appeso a un filo, quel filo di speranza che si spera faccia ripartire l’ultima funivia d’Europa. E la speranza è sicuramente anche questo museo.
Opere che sono tracce, che sono volontà, resistenza, che vanno a fondo, incidono, sono tatuaggi, impronte. E sono questi ragazzi che credono nonostante tutto, sono giovani che sono integrazione sociale, diritto civico, che hanno scelto di non morire annoiati da se stessi. Annoiati dal piccolo mondo che avevano fuori dalle loro finestre. E di non far più dire all’ adulto e all’ anziano “ormai qui a Bragno, qui in Valbormida non c’è più niente”.
La vita così com’è talvolta prende svolte straordinarie e lo fa prendere al tempo nonostante tutto il suo andamento sgangherato.
A loro un plauso, e la buona volontà di inseguire un impegno amministrativo migliore.