La transizione ecologica è possibile solo modificando il paradigma del nostro modello di sviluppo.
Occorre sostituire la parola crescita con la parola sviluppo e la parola stabilità con la parola eguaglianza, che ci renda capace di avere però delle misure precise, determinando il nostro perimetro e dentro lasciarci muovere, senza sconfinare, che poi è anche questa la generosità democratica, popolare ed esclusiva al contempo.
L’energia non è un bene di lusso e non può aumentare del 55%. Deve esserci un limite. Perché oltre questo limite c’è il rischio di una grave frattura sociale e dell’apertura di una pericolosa fase di depressione di tutta l’economia.
Ma se vero è che la bolletta deve tornare ad essere un misuratore di un consumo effettivo di energia e non un addebito di oneri e costi non pertinenti, ricordiamoci che è tempo di cambiare, non solo la struttura o il quantum della bolletta stessa.
C’è bisogno di un cambiamento “ecologico” e che l’ecologismo sia, come sostiene Telmo Pievani, “una forma di umanesimo”.
Si perché un impegno umanista deve essere anche un impegno ecologista.
Non si può sempre trascendere il messaggio secondo cui la difesa degli interessi umani coincide con la difesa della natura.
Le dimensioni tra crisi ambientale ed emergenza sociale sono interdipendenti.
La politica però deve decidere (e lo dovrebbe fare sempre ad ogni livello, molto anche a livello comunale), dove investire per favorire una riconversione economica, non drammatica, graduale e progressiva, ma irreversibile.
Pensiamoci, non solo quando la bolletta è salata … non solo quando il pericolo è per noi stessi e per le nostre tasche imminente e palese, che tutto viene da quello che ci sembra lontano, che qualcosa di dirompente che ci mostra l’emergenza climatica in realtà lo stiamo già vivendo.