Autore Paolo Giampieri. La madre di tutti gli errori risale agli anni Novanta. Allora la Val Bormida era una terra ricca con un’occupazione praticamente piena grazie a industrie perlopiù chimiche di grandi dimensioni – ma non soltanto – che davano lavoro e obbligavano a importare anche professionalità di alto o altissimo livello. Tutti (tranne l’ambiente) ne beneficiavano: lavoratori diretti, indotto, settore del commercio e terziario. La crisi giunse preceduta da avvertibili avvisaglie ma, tutto sommato, abbastanza improvvisa: spin off della 3M che sganciò Ferrania, disimpegno del governo centrale sulla chimica fine che sancì le chiusure di Acna e Agrimont. Le conseguenze furono pesantissime e, nel giro di pochi anni, la Val Bormida si ritrovò zona depressa: disoccupazione dilagante soprattutto tra i giovani, emigrazione, contrazione dei consumi con ricaschi per tutti i settori. Una situazione che troviamo tuttora, con qualche segnale di ripresa negli ultimi tempi anche se troppo timido.
A quei tempi, amministratori avveduti e compatti avrebbero potuto ottenere qualcosa: . Invece vi fu scarsa battaglia e si ottenne poco o nulla: la bonifica del sito di Cengio, qualche sgravio per le imprese. Sarebbe servito ben altro. Così, trent’anni dopo, la Val Bormida è diventata una terra dove la ricchezza resta quella accumulata dai nonni e dai padri ma dalla quale i figli perlopiù emigrano. Con percentuali quasi assolute se parliamo di ragazzi altamente scolarizzati.
E’ tuttavia inutile piangere sul latte versato. Amministratori avveduti, oggi, si rimboccherebbero le maniche chiedendosi: persa la vocazione di distretto chimico (regge quello del vetro, per fortuna) quale destinazione dobbiamo dare alla nostra valle? E’ evidente a tutti che non basta più, infatti, sistemare quattro strade, ridisegnare una piazza e pulire tre tombini. Gli amministratori di oggi dovrebbero aggiornarsi, studiare, cercare idee, guizzi. Tocca a loro inventare il futuro, analizzando le potenzialità del territorio, capendo i tempi in cui viviamo, sondando le opportunità che si stanno creando.
Partiamo dal territorio. Dal punto di vista artistico e paesaggistico la Val Bormida non ha attrazioni in grado di veicolare flussi turistici, diciamolo chiaro. I siti Unesco sono sulla costa davanti a noi o nelle colline dietro di noi: Cinque Terre, Genova, le Langhe. I patrimoni dell’umanità non li abbiamo, dunque, ma sono attorno a noi e questo non è un dettaglio da nulla: poco lontano sulla costa, poco lontano nell’entroterra. In più, quel clima un tempo così infausto, freddo e umido, in virtù del riscaldamento globale sta modificando la vita anche dalle nostre parti: in estate il caldo è spesso un disagio grave in riviera, molto meglio Carcare; l’inverno a Cairo, Millesimo e persino Calizzano non è più un disagio così grave come era un tempo. Perché non crederci? Abbiamo Osiglia, abbiamo l’Alta via dei monti liguri, abbiamo sentieri e foreste. Il turismo sta guardando con sempre maggior favore alle biciclette e al trekking, in Val Bormida c’è tutto quello di cui hanno bisogno camminatori e bikers: il mare in vista, le vigne appena dietro l’angolo e le Alpi pure. Proviamo a cercare dei circuiti nei boschi, a realizzare una rete efficiente di piste ciclabili, a valorizzare le ricchissime flora e fauna che abbiamo davanti agli occhi. Guardiamo cosa fanno all’estero: Germania, Olanda, Danimarca, Francia ma anche Croazia; ecco, Croazia, buttiamo un’occhiata all’Istria per capire come fa chi ci crede davvero.
Secondo elemento da analizzare, i tempi in cui viviamo. Sono tempi di grande crisi, indubbiamente. Ma le grandi crisi possono talvolta offrire chance. La pandemia ha costretto l’Unione Europea a immettere enormi quantità di denaro pubblico per la ripresa. In una misura che probabilmente non ha eguali nella storia se non nel secondo Dopoguerra. Il flusso di denaro va intercettato, una zona depressa da anni come la Val Bormida ne ha addirittura diritto.
Infine, le opportunità. Lo scenario che si prospetta nei prossimi anni è una rivoluzione verde. L’onda della transizione ecologica va cavalcata assolutamente. Siamo o no la provincia più verde d’Italia? In nessun altro posto del Belpaese il territorio ha una percentuale così alta di boschi. Anche in questo caso servono idee, progetti, unità d’intenti. Esiste un paese, in Austria, che si chiama Guessing e che conta poco più di 4.000 abitanti. Potrebbe essere uno dei nostri paesi. La fortuna di Guessing si chiama Rheinard Koch, un ingegnere che ha trasformato un borgo in mezzo alle foreste al confine con l’Ungheria in un caso da studiare. Koch ha realizzato otto impianti dove si utilizza legna, mais, rifiuti e oli vegetali per produrre energia pulita. Guessing è diventato autosufficiente, ora c’è energia gratis per tutti, case e aziende. Quella prodotta in più viene immessa in rete e frutta ogni anno 500 mila euro al Comune, soldi che vengono reinvestiti. Forse l’utopia di Guessing non si può replicare ma magari altre simili sì.
Bisogna provarci. Bisogna provarci perché l’alternativa è sotto gli occhi di tutti. Basta fare un giro a Ferrania, Bragno, Altare, Cengio: cittadine che si spopolano, prezzi delle case – le nostre case – che crollano, abbandono. Tra poco toccherà a Cairo, Millesimo, Carcare. Sarebbe un delitto, siamo ancora in tempo per cambiare il destino della Val Bormida ma bisogna muoversi in fretta.
L’autore è giornalista del Secolo XIX.